Die andere Hausnummer è il nome immaginario di un luogo reale, un centro diurno per donne* senza tetto a Berlino. L’edificio in cui si trova sarà presto abbattuto, la scadenza incombe e non ci sono alternative, né prospettive. Noi cerchiamo un nuovo spazio e intanto protestiamo.
Qui potete ascoltare la voce di una delle ospiti e quella delle volontarie, in due testi scritti per la nostra ultima manifestazione.
Come un sabato di aprile
Un testo di Viola, tradotto da Nina
Questa è la fine. O forse no.
Sto in piedi davanti allo specchio, solo un momento, non voglio vedere troppo. La luce in bagno è brutta e mi piace. Fresca di doccia mi vesto in fretta. Mi sono alzata presto, prima delle altre, per avere un po’ di tempo, per essere subito in bagno. La prima a mettere i piedi nella doccia, che poi si riempirà: capelli altrui, forfora, resti di bagnoschiuma, shampoo e cose lasciate cadere.
In corridoio davanti allo specchio, vestita e con una luce migliore, guardo con più attenzione. Guardo i miei capelli, li guardo esattamente. Come sono cresciuti ultimamente. All’improvviso riesco a distinguere dove sono ancora scuri, ancora originali. E da dove viene tutto il grigio che si è mescolato al mio nero, prima appena, poi sempre più insistente e penetrante. Subito dietro alle tempie riconosco due chiazze di una simmetria irreale, paglia bianca a ogni lato della testa. Passo la mano sulle mie stoppie, tolgo la polvere, tolgo i pelucchi dell’asciugamano di spugna consumato.
Colazione al piano di sopra. Due tavole ben imbandite. Cestini di frutta e verdura. In due vasi, fiori di lillà. Una calda giornata di aprile entra solare dalla finestra, la temperatura sarà alta oggi. Quest’anno il lillà fiorisce presto, prima della primavera scorsa, quando stava sul tavolo della mia cucina. Una domenica a casa. I momenti di felicità sono bolle di sapone dai colori lucenti. Non soffrirò la fame. Come sembra banale.
Cammino in una mattinata berlinese, vado alla metropolitana, mi siedo vicino a te.
A te che pensi di conoscerci. Che credi di riconoscerci.
Lo sai: di nuovo spunteranno, all’improvviso, vicino a te, più e più volte nella tua giornata. Se ti si siedono vicino, ti sposti più in là, perché ti infastidiscono con la loro sporcizia, con la loro disperazione. Ti disturbano con richieste e preghiere e spiegazioni. Lo sai, e preferisci distogliere lo sguardo, fissarlo sul tuo smartphone, con quello tieni in mano le cose importanti della tua vita.
È questo che pensi, e ti sbagli.
Siamo invece sedute vicino a te, lavate, deodorate, profumate in un mondo che puzza. Vicino a te, di fronte a te, leggiamo un giornale, B.Z. o taz, e sugli utili apparecchi che teniamo in mano scorriamo il tempo con il pollice, proprio come te.
Abbiamo infornato il tuo pane, siamo pianiste e diamo lezioni di musica, abbiamo mixato i tuoi cocktail, igienizzato i tuoi denti, operato il tuo cane, eravamo danzatrici o attrici, abbiamo cucito il tuo vestito, costruito il tuo tavolo, riparato la tua macchina. Ti abbiamo venduto fiori, oppure formaggio e vino. Abbiamo approvato la tua richiesta in carta bollata, oppure l’abbiamo respinta, ti abbiamo assunto o licenziato, abbiamo pulito le tue stazioni, i tuoi musei, le tue chiese e anche i tuoi bagni, abbiamo assistito tua nonna, messo i punti alle tue ferite, insegnato inglese a tua figlia, consolato tuo figlio. Abbiamo gestito i tuoi appuntamenti e scritto i tuoi discorsi, abbiamo amministrato la tua azienda e tenuto la tua contabilità.
Noi eravamo te.
Passa uno, di quelli che riconosci, ma tu non senti. Ti proteggono le cuffie per la musica. Ce ne sono troppi. Troppi che disturbano, troppi che ricordano. Adesso potresti riconoscermi. Perché alzo lo sguardo, lo guardo in faccia. Mi dispiace, dico, non ho niente da dare, dico. E cerco di sorridere.
Mi hai venduto delle scarpe. Sopra il bancone mi passi il sacchetto e lo scontrino e mi auguri un buon fine settimana. Sorrido anch’io e dico: “Buon fine settimana anche a lei”.
Nel supermercato di Wittenbergplatz mi compro una Coca e mi siedo con altri su una panchina. Il sole primaverile scaccia l’ultimo raffreddore invernale dalla città. Guardo il sacchetto trasparente dello shopping vicino a me. Lo vedono tutti che posso permettermi due paia di scarpe. Sono così orgogliosa.
Lunedì andrò al riparo alla andere Hausnummer, avrò con chi parlare, non soffrirò la fame. Forse addirittura riderò. Se dovessi piangere o avere bisogno di aiuto, qualcuno sarà lì per me. Ti suona banale?
Oggi sto seduta sulla panchina, chiudo gli occhi e mi godo per un lungo momento la sensazione di essere quella che ero prima.
Come in un sabato di aprile.
Come se fosse ancora la mia vita.
Senzatetto: numeri grandi, numeri piccoli
traduzione di Nina
Noi volontarie della andere Hausnummer viviamo in questo permanente conflitto: siamo felici di esserci, di partecipare, di condividere e però sappiamo che la faccenda è tutta completamente sbagliata. Il nostro volontariato tappa solo in parte un enorme buco. Un buco scuro e vergognoso in una società che si vanta di essere avanzata. Un buco profondo in un Paese che si vede come colonna portante dell’Europa, un modello in cultura, in economia, e che pure non è in grado di garantire a tutti una casa.
Lo spazio abitabile è trattato come merce: costa, e i prezzi li fa il mercato. Chi ha soldi, paga di più e i prezzi si alzano. Chi non ha soldi, non può permetterselo e gli va male, perché ai proprietari non conviene affittare a prezzi più bassi. Piuttosto le case restano vuote, e, se qualcuno rimane per strada… è il mercato, vedi? Non ci si può fare niente.
A Berlino, la temperatura media in gennaio è di zero gradi, sotto zero di notte. In luglio e agosto può salire sopra i trenta, di ombra ce n’è poca, perché tanto a cosa servono gli alberi, quando avremo presto nel bel mezzo della città una grandiosa autostrada su cui viaggiare in SUV con aria condizionata?
Quindi, estate o inverno, qui a Berlino, un tetto sulla testa non è un semplice diritto. Andare a vedere una casa in questa città è come capitare in un film dell’orrore di inconsapevole comicità. Le code assurde per partecipare alle visite di nuovi appartamenti sono ormai parte integrante del paesaggio. La mancanza di case sembra una legge di natura, necessaria e inevitabile come il sorgere del sole.
Ma non è così, non è sempre stato così. Dal 1990 il numero di unità abitative a prezzi agevolati è calato a poco più di un terzo: da 2,8 milioni a 1 milione. In Germania ci sono, a seconda della fonte e del metodo statistico, tra 530 e 620 mila persone senza tetto, un numero che aumenta ogni anno. Non mancano le voci che relativizzano: sì, ma… non tutti vivono per strada. Sì, ma… è per via delle guerra in Ucraina. Sì, ma… alcuni lo fanno per scelta.
E allora? Chiediamo noi.
Quanta indifferenza, quanto disprezzo ci vuole per minimizzare una situazione del genere? Per giustificarla? Per attribuire le cause sempre a fattori esterni?
600 mila persone senza casa è un numero enorme e, allo stesso tempo, piccolo.
Enorme perché corrisponde alla popolazione di un'intera città come Lipsia.
Ma anche piccolo, perché sarebbe possibile dare a tutte e tutti una sistemazione propria e stabile. La carenza di abitazioni è un problema che si può affrontare.
Il governo tedesco si è dato l’obiettivo ufficiale di risolverlo in tutta la Repubblica entro il 2030 e ha già sistematicamente mancato le tappe che si era prefisso: nel 2024, invece del numero pianificato di 100 mila unità abitative a basso costo, ne sono state messe a disposizione 25 mila. Nel frattempo, scadono man mano gli affitti agevolati e sovvenzionati. Case che erano accessibili vanno sul mercato e diventano costosissime.
È un groviglio di numeri quello che si trova nelle relazioni ufficiali. Chi conosce la andere Hausnummer, può anche fare a meno delle statistiche: 40, 50 donne vengono ogni giorno, mangiano, si lavano, si truccano, fanno una lavatrice, si risposano, una volta alla settimana trovano una dottoressa, un’insegnante di yoga, ogni tanto una parrucchiera. Le loro storie mostrano alcune delle tante complesse facce della situazione.
Ma c’è un numero che può risultare interessante. I 500 miliardi di investimenti straordinari in infrastruttura e difesa approvati dal governo non prevedono case popolari. Che tanta gente viva per strada, non è una problematica all’ordine del giorno. È un fenomeno accettato, forse anche voluto.
Perché? Avere i senzatetto fa comodo, da una parte per forzare all’accettazione di lavori legalmente sottopagati tramite la minaccia di una caduta ancora più in basso e dall’altra per garantire che il mercato immobiliare resti attraente come settore lucrativo. La Germania deve restare campione di esportazioni. E le case non sono comode da esportare… Ma le armi per fortuna sì! I costi di produzione di un carro armato finanzierebbero circa 15 unità abitative, per un jet da guerra si possono costruire circa un centinaio di appartamenti economici. Che budget sarebbe bastato per raggiungere lo scopo dichiarato di 100 mila unità abitative nel 2024? Circa un quarto delle spese militari!
In questa situazione disumana, la andere Hausnummer è un piccolo contributo di pace e solidarietà. Un seme che dovrebbe essere protetto e fatto crescere, nel caso ideale non più per fornire a stento servizi essenziali ma per continuare ad esistere come punto di accoglienza e comunità.
Ma vivi a Berlino?