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Avatar di Nina Grenzwert

Grazie ragazze per questa interessante discussione sul racconto! L’ho tradotto la prima volta diciotto anni fa quando è uscito, e mi sembrava molto chiaro, allora, che fosse una storia senza speranza, un tentativo di emancipazione più autolesionista (autopunitivo, dice Martina) della violenza subita nella relazione stessa, che fallisce poi in maniera tragica, perché è un tentativo fragile.

Riprendendolo adesso – sono più vecchia e il discorso sul corpo, specie della donna, è onnipresente, mentre non mi pare lo fosse allora – questa visione così oscura mi ha quasi spaventata. E vedo anche nei vostri commenti un tentativo di fare onore ad altri aspetti di questa vicenda, di vedere un qualcosa da “restituire”, da “salvare”, o un’”espiazione”.

Mi chiedo se il nostro (in senso collettivo) atteggiamento sia in questo senso cambiato, se il racconto sia così pessimista come lo vedevo prima o se contenga degli elementi di forza, fosse anche solo il “potere sinistro” che emerge a un certo punto, come mi sembra oggi. Forse ci sembra di averne più bisogno?

Si dice anche che un’opera letteraria contenga sempre qualcosa in più di quanto l’autrice ci abbia consapevolmente messo, e credo sia vero.

E infatti sarei stata tentata di chiedere a lei, ma poi non l’ho fatto.

Ieri infatti sono salita su un treno per andare a sentirla presentare il suo nuovo libro a Lipsia. Avevo scoperto per caso questo evento quando ho cercato il suo contatto per chiederle l’autorizzazione a pubblicare dopo tanti anni. Era la prima volta che ci incontravamo. Nella dedica mi ha scritto “Wie schön!” (“Che bello!”) e non abbiamo aggiunto altro.

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Avatar di LnaReplay

È un racconto molto forte.

"Carne" è una parola forte. "Scarto" uguale.

L’uso della seconda persona (non so se fedele all’originale) mi ha forzata a vivere in prima tutto quello che descrive. Molto intenso.

Se dovessi dare un’interpretazione a quello che ho letto – cosa che mi permetto di fare – direi che lei voglia restituire quello che le rimane della relazione con quel lui, di cui si fa pochissimo accenno.

"Chi rompe paga e i cocci sono i suoi". Ed eccoli lì, sul tavolo: i cocci che vuole restituirgli. Puzzolenti e putrefatti.

Il finale non riesco a capirlo. Sono claustrofobica, e questo mi basterebbe per morire di paura, ma in un congelatore un non-claustrofobico può sopravvivere? Gli sta forse lasciando ben più di cocci in mucchietti da due chili, o pensa di uscire verso una nuova vita, leggera, non appena lui si è allontanato?

Come al solito, forse, mi sono soffermata sul dito che indica la Luna. Lo faccio sempre. Mi perdo a studiare le proporzioni tra le falangi, mi chiedo se sono tre su tutte le dita, scopro che no, il pollice ne ha solo due. Apro il palmo, divaricando le dita, e mi chiedo se siano davvero 20 cm tra la terza falange del mignolo e la seconda del pollice (no, per me sono 22 cm, ho controllato. Me ne devo ricordare, di questo +5%).

E mentre penso a tutto questo, decido che non voglio sapere, non voglio decidere se c’è o meno un lieto fine.

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